“Siamo tutti uno”. Gli indigeni boliviani ce lo ricordano

“Siamo tutti uno”. Gli indigeni boliviani ce lo ricordano

Da ormai circa un mese il mondo è stato travolto dall’emergenza coronavirus. Emergenza, etimologicamente significa “ciò che emerge” e, con il coronavirus, le cose emerse sono molte, in ogni Paese, in ogni contesto. Dalla forza alla solidarietà, dalla superficialità alla scarsa competenza, dall’egoismo alla necessità, alla fine nessuno di noi ha potuto tirarsi fuori dal un concetto ancestrale. Citando il leader del popolo indigeno dell’amazzonia degli Yanomami, Davi Kopenawa, riportato nel testo Siamo tutti uno, omaggio ai popoli indigeni della terra, “condividiamo tutti la stessa umanità e a unirci è nostra madre, la Terra. Abbiamo culture e lingue differenti, ma in ognuno di noi vive lo stesso spirito della vita. Siamo tutti legati gli uni agli altri; e questo non cambierà mai…”.
In Bolivia, come in altri paesi dell’America latina, proprio a conseguenza dei forti vincoli con l’Europa e con l’Italia, il problema coronavirus è arrivato, con qualche settimana di ritardo, attraverso il viaggio di persone boliviane. La reazione e le misure di contenimento adottate dal governo transitorio di Jeanine Añez sono state abbastanza tempestive, per bloccare rapidamente la propagazione del contagio e tutelare la popolazione.
Emergono però una serie di problematiche specifiche del contesto: la Bolivia destina solo il 4% del PIL alla sanità pubblica, classificandosi negli i ultimi posti tra i paesi dell’America Latina e viene così identificata dalla OMS tra i paesi a maggior rischio, insieme a Guatemala, Haití, Honduras, Nicaragua, Paraguay y Venezuela. Nelle principali città del paese, La Paz, Santa Cruz e Cochabamba, ci sono pochissime sale di terapia intensiva, si parla di un 60 in totale, quindi è comprensibilissima la preoccupazione del governo di evitare il contagio (a oggi 90 casi registrati ufficialmente e 5 morti).
Le difficoltà che emergono sono però molto più ampie: come sostenere la politica “stateincasa” in una nazione dove l’80% della popolazione vive dell’economia informale e principalmente di vendita al dettaglio in mercati e fiere? Come sostenere il gruppo più a rischio della popolazione, gli anziani, quando il sistema pensionistico è pressocchè inesistente e non riesce a garantire nemmeno i bisogni e i servizi essenziali alle persone? In molte zone delle città di El Alto, Santa Cruz e Cochabamba chi vende nei mercati o per strada non sta rispettando la quarantena: a morire di fame preferiscono il coronavirus, dicono, ma comunque non riescono a guadagnare il minimo necessario per la loro sussistenza perché non ci sono compratori.

La logistica dell’emergenza è stata gestita in modo poco previdente, obbligando le persone a uscire un solo giorno alla settimana, in base al numero del proprio documento di identità, e a rifornirsi in sole due ore nei supermercati, causando un pericoloso sovraffollamento negli stessi; molti individui sono rimasti bloccati in regioni diverse da quelle di residenza per l’attivazione eccessivamente repentina delle misure di blocco della circolazione; gli aiuti alle famiglie previste dallo stato sono ridotti e non è chiaro se gli stipendi verranno pagati ai lavoratori in questo periodo di “assenza per forza maggiore”.
Se l’Europa, con un’economia e un welfare consolidato oltre che vari servizi garantiti, è in difficoltà, cosa succederà da questo lato del mondo?

Progettomondo.mlal in Bolivia opera in diverse aree, nel contesto giustizia si lavora nei centri di reintgrazione per adolescenti in conflitto con la legge, così come nel sistema penitenziario per adulti, e sulla base dell’esperienza italiana, il nostro personale è stato ritirato con anticipo sui provvedimenti nazionali, per evitare possibili contagi in contesti così complessi come le carceri. Abbiamo dato assistenza alle istituzioni per promuovere politiche di prudenza e tutelare il più possibile i diritti umani delle persone in privazione di libertà.
E’ difficile capire ora quale possa essere il nostro ruolo di co-operazione in questi giorni, come possiamo essere d’aiuto, ma ci stiamo lavorando e speriamo, nel nostro piccolo, di poter dare un contributo alla terra che ci ospita.

… che la montagna protettrice, “el achachila” (il nonno) Illimani,
questa volta, protegga gli achachilas umani..

 

Magda Rossi
cooperante Progettomondo.mlal