Ogni ambasciata si sta muovendo per conto proprio e gli italiani all’estero stanno vivendo ore di incertezza e una forte preoccupazione sul futuro prossimo del Paese in cui si trovano.
Lo stesso vale per i nostri operatori che, a causa dell'emergenza sanitaria ormai mondiale, stanno assistendo a una progressiva limitazione di servizi, scuole, locali e voli a seconda dei luoghi in cui operano.
Il timore più grande è l’incapacità dei Paesi in via di Sviluppo non solo di riuscire ad affrontare un’eventuale massiccia diffusione del Covid-19 dal punto di vista sanitario, ma anche che possano mancare i beni di prima necessità. L’impatto del virus, in realtà già sofferenti, si prospetta esponenzialmente più grave.
In Italia stiamo partecipando al gruppo di lavoro sull’emergenza creato da Aoi, per raccogliere informazioni permanenti sulle situazioni di rischio.
Abbiamo raccolto i nostri operatori nel mondo su un monitor, per ascoltare ogni loro testimonianza e preoccupazione. Per confermare a tutti la nostra vicinanza in un momento tanto difficile e in continua evoluzione.
Intanto dal Perù sono già rientrati i nostri Corpi Civili di Pace che da luglio erano a Puno, impegnati in un programma sulla gestione dei conflitti ambientali. Sono tornati in Italia via Buenos Aires dopo che l’ufficio nazionale del Servizio Civile ha chiesto il rientro immediato prima che venissero chiusi i voli.
In Bolivia si temono segregazioni ed esplosioni di violenza, con conflitti in strada che hanno già iniziato a farsi strada, persino di fronte agli ospedali.
E poi ci sono l’Honduras e Haiti dove si prospettata la devastazione economica e sociale in caso di diffusione del contagio. Nell’isola caraibica, in particolare, sono ancora in corso tensioni sociali di vecchia data e il sistema sanitario è inesistente. Alle frontiere con la Repubblica Dominicana, formalmente chiuse, non ci sono controlli.
La minaccia che salti l’ordine pubblico è inoltre dietro l’angolo perché un eventuale stop di Paesi in cui la gente vive già di stenti significherebbe l’impossibilità per molti di procurarsi da vivere.
In Mozambico, in questi giorni sono emersi 7 casi confermati a fronte di soli 2mila tamponi disponibili e si teme che a fine mese, con l’arrivo degli stipendi, la gente possa saccheggiare i supermercati.
In Burkina Faso, primo Paese africano coinvolto dalla pandemia, la terapia intensiva non esiste e il rischio dei contagi su larga scala è reale. Ancora di più lo è in Marocco, visti gli stretti legami con l’Italia e la Francia.