Aspettavamo questa notizia, da giorni. Una settimana fa, alle 20, il Presidente della Repubblica Haitiana Jovenel Moise ha confermato alla popolazione i primi due casi di contagio da Covid19, nel frattempo saliti a 8.
In un Paese dove il sistema sanitario è quasi inesistente, dove l’acqua scarseggia e in pochissimi hanno un lavoro, che vive una profonda crisi economica, sociale, alimentare e di sicurezza particolarmente critica da ormai più di un anno, viene da chiedersi: cosa succederà a tutti quelli che vivono con meno di un dollaro al giorno? Noi ce lo chiediamo, ogni giorno, ce lo chiedevamo ancora prima che la conferma dei contagi arrivasse. Ecco perché, a metà marzo, abbiamo, preventivamente, organizzato due momenti di formazione per le nostre équipe, rispettivamente negli uffici di Port-au-Prince e Gonaives.
Grazie al supporto di una presentazione e di un video in creolo sul Covid19, abbiamo spiegato alle equipe cosa possiamo fare noi per prevenire il contagio, illustrando quali misure, procedure e mezzi il consorzio avrebbe messo in campo per limitarlo il più possibile.
Perché questo concetto è ben chiaro a tutti: qui il contagio sarà vasto, nonostante la speranza vada in un’altra direzione.
Le équipe, con modalità e tempi differenti, sono passate da una prima fase di ironia sul fenomeno, con battute sulle proprietà antivirus della patata dolce haitiana, a una fase di ascolto consapevole, accompagnata dai nostri racconti sulla situazione in Italia, per arrivare infine a provare sgomento e preoccupazione. Un collega ha saputo racchiudere il senso profondo del nostro ruolo in questo momento: “Siamo agenti di sviluppo, non ci fermeremo per questo”.
I dati disponibili sono preoccupanti: su una popolazione di circa 12 milioni, più di 2 milioni di persone sono considerate a rischio; il Presidente Moise ha invitato proprio questa parte di popolazione a proteggersi il più possibile. Haiti conta più di 2 milioni di persone che soffrono di ipertensione, 350.000 diabetici, 150.000 persone che convivono con l'HIV: tutti soggetti a rischio di soccombere al coronavirus, senza contare i 16.000 casi di tubercolosi registrati ogni anno. Inoltre, va detto che l’epidemia non è solo un’emergenza sanitaria ma, come si sta già sperimentando in contesti ben più solidi, anche sociale e politica; immaginiamo le ripercussioni di questo paradigma su un sistema come quello haitiano. A livello biologico il virus colpisce tutti indistintamente, ma le condizioni sociali fanno la differenza e le misure messe in atto, come la distanza fisica o il blocco della mobilità, fanno emergere le grandi contraddizioni delle nostre società. Ad Haiti, “lavi se nan lari a”, la vita è nella strada, per la mera sopravvivenza quotidiana: com’è possibile rimanere a casa, senza nemmeno quel dollaro al giorno?
Claudia, Eleonora e Silvia
cooperanti Progettomondo.mlal Haiti
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