Haiti, il cambiamento parte dalla società civile

Haiti, il cambiamento parte dalla società civile

Il ruolo della società civile haitiana che da anni combatte per un cambio di sistema, è cruciale. Progettomondo, presente sull’isola caraibica dal 2010 per promuovere i diritti umani e un dialogo inclusivo tra società civile e autorità locali, sostiene ed è al fianco delle organizzazioni locali che si battono per la tutela dello stato di diritto e la difesa delle conquiste democratiche, come i diritti civili, sociali e economici.
Soltanto una transizione politica con il coinvolgimento pieno e attivo della società civile, potrà gettare le basi per il ripristino della democrazia e la tenuta di elezioni trasparenti, che possano permettere ai cittadini haitiani di decidere liberamente del proprio destino e di guardare con fiducia al futuro, sentendosi finalmente protagonisti dello sviluppo del proprio Paese”.
Lo dichiara il nostro cooperante ad Haiti, Marco Decesari, dopo l’ennesimo tragico episodio che interessa l’isola.

La mattina del 7 luglio, infatti, è giunta la notizia dell’assassinio del Presidente Jovenel Moïse. Tra lo stupore generale, tutte le stazioni radio, i social network e le televisioni del Paese hanno fatto rimbalzare la notizia. Le strade improvvisamente sono diventate deserte. Nessun mototaxi e taxi in circolazione, banche e supermercati chiusi.
Il primo ministro ad interim, Claude Joseph, dismesso delle sue funzioni da Moïse due giorni prima, ha preso pubblicamente la parola dichiarando che, nel corso della notte, un comando armato composto da stranieri ha fatto irruzione nella residenza del presidente, uccidendolo e ferendo sua moglie. Le indagini giudiziarie hanno poi rivelato che il corpo di Moïse è stato crivellato con 12 proiettili. Joseph ha invitato la popolazione alla calma e, nel pomeriggio, ha presieduto un consiglio dei ministri straordinario, dichiarando lo stato di assedio e proclamandosi leader legittimo.
Nel frattempo Luis Abinader, presidente della Repubblica Dominicana, ha immediatamente decretato la chiusura delle frontiere con Haiti e imposto un rafforzamento delle postazioni di controllo.

Fin dal suo insediamo ufficiale nel 2016, il presidente Jovenel Moïse ha subito contestazioni diffuse da parte della popolazione e da quasi tutti i settori della società civile. Sostenuto dal presidente uscente Michel Martelly, aveva vinto le elezioni presidenziali del 2015, ma il voto era stato annullato a causa della denuncia di brogli e irregolarità. Moïse ha infine vinto le elezioni del novembre del 2016 con 590.927 voti su un elettorato attivo di circa 6 milioni di persone.
Nel 2018, in tutto il Paese sono scoppiate pesanti manifestazioni per il caro vita, la povertà e l’aumento del prezzo del carburante. L’anno successivo il presidente è stato travolto dallo scandalo Petrocaribe con la diffusione del rapporto della Corte dei Conti nel quale risultava che almeno 14 ex funzionari del governo avevano stornato oltre 3.800 milioni di dollari erogati dal Venezuela e che l’impresa di Moïse aveva usufruito di contratti per costruire progetti mai realizzati. Nonostante questa situazione, Moïse ha sempre beneficiato del sostegno incondizionato della comunità internazionale.

Haiti è senza parlamento dal gennaio 2020 e le elezioni legislative, municipali e locali non hanno rispettato le scadenze imposte dalla costituzione. Il mandato di Moïse si era concluso il 7 febbraio scorso e da un anno e mezzo il presidente esercitava il potere legislativo tramite decreti presidenziali con la maggiorparte delle istituzioni del Paese rimaste bloccate. Il sistema di giustizia è inoperante dal settembre del 2020 a causa di uno sciopero illimitato dei magistrati.
A gennaio Moïse aveva costituito un Comitato incaricato di redigere una nuova costituzione in vista di un referendum da realizzare il 25 aprile. Questo comitato, dichiarato anticostituzionale e illegale da parte delle opposizioni e della società civile, aveva elaborato una carta costituzionale che prevedeva un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e uno smantellamento dei diritti civili e politici, economici e sociali. Il referendum è stato rinviato a giugno e poi a settembre. A marzo, infine, un Consiglio Elettorale, anch’esso dichiarato illegale, è stato attivato con il mandato di avviare la macchina elettorale per le elezioni presidenziali e legislative di settembre. Il 5 luglio, due giorni prima del suo assassinio, Moïse aveva nominato un nuovo primo ministro, il medico Ariel Henry, che avrebbe dovuto sostituire il primo ministro Claude Joseph con il mandato di organizzare le elezioni e di riportare la sicurezza nel Paese.
Nel corso di giugno diversi membri della banda del G9, guidati da Jimmy Chérisier, soprannominato Barbecue, avevano organizzato una serie di manifestazioni per le strade di Port-au-Prince, minacciando di saccheggiare le banche e i negozi. Hanno intonato slogan ostili a Jovenel Moïse, inneggiando alla rivoluzione.
Negli ultimi due mesi, nei quartieri di Bel-Air, Martissant, La Saline, la violenza delle bande armate (case bruciate, violenze ai danni di donne e giovani, rapimenti) che controllano intere zone della capitale e sfuggono al controllo delle forze pubbliche, ha provocato 18.100 sfollati. Nonostante i numerosi appelli delle organizzazioni nazionali e internazionali per i diritti umani che chiedevano l’arresto delle persone implicate nei massacri, il presidente non ha intrapreso nessuna azione concreta per ripristinare l’ordine e per rendere giustizia alle migliaia di persone che sono state sfollate e che hanno perso tutto ciò che avevano. Nulla è mai stato fatto per garantire la sicurezza dei cittadini del Paese. Secondo un rapporto pubblicato da RNDDH sulla violenza delle gang, negli ultimi 7 mesi nei quartieri di Bel Air e Martisant, 145 persone sono state uccise in condizioni brutali.

A una settimana dall’assassinio di Moïse le indagini giudiziarie hanno portato all’arresto di 15 cittadini colombiani, di due statunitensi e di tre haitiani, accusati di aver pianificato l’uccisione del presidente. Altri tre colombiani sono morti per mano della polizia e otto mercenari sono tutt’ora in fuga.
Intanto la lotta per la spartizione del potere è iniziata. Joseph, che gode del sostegno degli Stati Uniti e della rappresentanza regionale delle Nazioni Unite, si contende il poter con Ariel Henry che rivendica il suo diritto a formare un nuovo governo.
Il 9 luglio un protocollo di intesa nazionale tra i vari partiti sembra sia stato raggiunto per nominare presidente della repubblica a titolo provvisorio Joseph Lambert, presidente di ciò che resta del senato. In passato Lambert, aveva sostenuto Moïse ma di recente aveva espresso forti critiche al disegno di riforma della costituzione avviato da Moïse.
L’11 luglio una delegazione del dipartimento di stato degli Stati uniti ha organizzato un incontro congiunto con il primo ministro ad interim Joseph, il primo ministro incaricato Henry e il presidente del senato Lambert con l’obiettivo di promuovere un dialogo aperto e costruttivo in vista di giungere a un accordo per la tenuta delle elezioni del 26 settembre.

In questo contesto, nel Paese prevale un sentimento generalizzato di insicurezza e di incertezza. Rispetto alle manifestazioni popolari del 2018, le richieste del popolo haitiano sono rimaste invariate, ovvero un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, sicurezza, istruzione, opportunità per i giovani, assistenza sanitaria. I cittadini non hanno mai voluto l’assassinio del presidente, ma esigevano le sue dimissioni e un processo per i crimini perpetrati durante il suo mandato. I cittadini e le organizzazioni della società civile chiedono che le elezioni si possano tenere in piena trasparenza, senza interferenze interferenze esterne.
Nonostante le pressioni della comunità interazionale, che spinge per la realizzazione di elezioni a tutti i costi a settembre, allo stato attuale non sembrano sussistere le condizioni minime per recarsi alle urne in modo libero e inclusivo.
La soluzione più ragionevole sarebbe quindi lavorare per un’intesa tra attori politici e della società civile per la costituzione di un governo di transizione che possa ristabilire lo stato di diritto, il funzionamento delle istituzioni e l’organizzazione di elezioni entro un anno. Un governo che si impegni a consegnare alla giustizia i responsabili dei crimini perpetrati durante l’era di Moïse, che faccia luce sullo scandalo PetroCaribe e che attui misure per scardinare il sistema delle bande armate nei quartieri svantaggiati. Si tratta di precondizioni per la tenuta di elezioni autenticamente democratiche.

Progettomondo intanto resta al suo posto, al fianco di chi lotta per la conquista dei diritti umani e per un futuro democratico del Paese.

leggi l’intervista di Marco Decesari pubblicata su Dire