In neanche un anno il Burkina Faso è finito nuovamente al centro di un colpo di Stato, aumentando incertezze e instabilità che si trascinano ormai da tempo.
Nonostante domenica il colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, che dal 24 gennaio scorso era diventa capo della giunta militare al governo nel Burkina Faso, abbia accettato di dimettersi e siano quindi state riaperte le frontiere e tolto il coprifuoco scattato 24 ore prime, Progettomondo ha chiuso gli uffici. Il nostro personale è confinato da venerdì, giorno in cui il capitano dell’esercito Ibrahim Traoré ha fatto suoi i malumori dei militari che, negli ultimi mesi, si sono sentiti traditi dal colonnello.
Nei 9 mesi di governo di transizione, infatti, gli accordi prevedevano il ripristino della sicurezza sul territorio nazionale. Gli attacchi terroristici sono invece aumentati persino nelle zone che erano sicure, ai danni sia dei civili che di molti militari che hanno perso la vita.
L’ennesimo attacco nella regione del Sahel avvenuto a fine settembre ha fatto scoppiare definitivamente la rabbia e la mattina del 30 settembre, alle 4.30, si sono uditi i primi spari nella caserma di Ouagadougou. Da lì si sono susseguiti ulteriori blocchi nelle varie arterie strategiche della capitale. In un primo momento Damiba non ha accettato di mollare il potere, il che ha portato a scontri fino a che, sabato, hanno iniziato a circolare voci – poi smentite da Parigi – di una sua presunta protezione francese.
Da sabato pomeriggio si sono rafforzate le manifestazioni anti francesi, fino a distruggere e saccheggiare gli istituti francesi di Bobo-Dioulasso e Ouagadougou. Sempre nella capitale è stato ferito il collega di una Ong olandese, tramite l’ingresso armato di nove persone in casa sua.
Domenica i leader religiosi e comunitari hanno mediato tra Damiba e il nuovo golpista, Traorè, che ora è il nuovo presidente.
I capi di stato maggiore gli hanno garantito il supporto e la situazione sembra risolta, ma a quanto pare manca ancora il consenso totale tra le fila dei militari. Si resta quindi prudenti e in attesa, nella speranza che possa al più presto tornare l’ordine in un Paese in cui siamo presenti ormai da oltre dieci anni e che merita un futuro di giustizia e di pace.
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